La moda sta facendo grandi passi per diventare sostenibile.
Pochi giorni fa Gucci ha annunciato di non voler più produrre pellicce “vere” dalla primavera 2018, ma soltanto quelle ecologiche nel rispetto degli animali; già tre anni fa aveva dimostrato il suo spirito ecologico creando il primo cappotto in cashmere innovativo, tessuto composto per il 70% da cashmere proveniente da scarti.
Stella McCartney è stata una pioniera nell’utilizzo di ecopelli avendo da sempre usato questo materiale per le sue scarpe e le sue borse.
Durante la settimana della moda vi avevo parlato del marchio Nemanti che produce scarpe di lusso con gli scarti del grano e della mela nel pieno rispetto dell’ambiente, approvato, inoltre, da PETA (People for the Ethical Treatment of Animals) e LAV (Lega AntiVivisezione) come brand vegano.
Cosa prevede una moda sostenibile
La moda sostenibile non deve soltanto risparmiare gli animali per creare i prodotti, ma deve anche non inquinare.
Spesso durante le varie fasi della lavorazione i tessuti e le pelli sono trattati con sostanze chimiche nocive. Un rapporto di Greenpeace chiamato Panni Sporchi ha analizzato l’inquinamento nei fiumi cinesi causato dagli scarti delle industrie tessili ed il risultato è stato sconcertane: il 70% dei fiumi è contaminato da sostanze bandite dall’Unione Europea perchè altamente tossiche. E’ sempre di Greenpeace la ricerca per la campagna Detox, dove 78 capi d’abbigliamento sportivo sono stati analizzati e in ben 52 sono stati trovati i nonilfenoli etossilati che degradano in una molecola tossica: il nonilfenolo. Sostanze non biodegradabili che, con i lavaggi, vanno a inquinare le acque reflue; oltre al danno ambientale ingente, l’inquinamento non rimane circoscritto alla filiera del tessile, ma viene perpetrato anche dal consumatore ignaro.
Infatti, sempre nella stessa ricerca Detox, i capi sono stati analizzati nuovamente dopo un lavaggio e l’80% della sostanza nociva era sparita! Ma non tiriamo un sospiro di sollievo perché le sostanze non biodegradabili sono andate a inquinare le acque che utilizziamo quotidianamente.
Moda e controllo dei fornitori
C’è inoltre un trasferimento di queste sostanze sulla cute, che possono dare origine a patologie anche serie, interagendo sul sistema ormonale con le conseguenze che ne derivano.
E’ per questo motivo molto importante non delocalizzare la produzione in terre dove non ci sono restrizioni e controlli o se ci sono, dove possono essere facilmente elusi.
Il programma ZDCH (Zero discharge of Hazardous Chemicals) ha creato un registro online dove vengono analizzate le acque reflue provenienti da diversi stabilimenti e paragonati a valori regolari per sensibilizzare la filiera a una produzione trasparente.
Diverse sono le aziende che aderiscono al progetto cercando di migliorare la sostenibilità dei loro prodotti e che erano stati accusati di essere tra i maggiori inquinatori delle acque cinesi: H&M, Levi’s, Zara, Adidas, Nike solo per fare alcuni nomi.
L’Italia e la moda sostenibile
In Italia alcuni grandi marchi sono molto sensibili al problema, infatti il 13% dei consumatori vuole beni di lusso sostenibili per potere acquistare.
Non solo Gucci, ma Valentino, Bottega Veneta, Brioni aderiscono al programma di responsabilità nel reperimento delle materie prime, nel ridurre al massimo l’utilizzo di sostanze nocive e nella riduzione del consumo d’acqua (altro grande problema: per arrivare alla realizzazione un paio di jeans servono 11.000 litri di acqua!), mentre altri brand famosi sono completamente insensibili al problema (puoi vedere la lista nel rapporto di Greenpeace).
Inoltre per una moda sostenibile è necessario il rispetto per le persone che lavorano i prodotti, troppo spesso lo sfruttamento di minori in paesi lontani è stato trascurato dalle grandi aziende.